LE ANIME DEI RIMINISTI
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Rimini.agosto.2007- vocabolo riministi suggerisce, all’opposto, la presenza di un legame, di un nesso cioè nell’opera di alcuni tra i più significativi pittori nati tra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento. Affascinato dal peculiare ambiente locale, sul filo della memoria e delle proprie emozioni, il riminista dipinge scorci della città, del mare oppure della campagna circostante, con un linguaggio che, a seconda della propria sensibilità e della ricerca espressiva intrapresa, spazia dal figurativo più canonico alla scomposizione del dato oggettivo in una trama cromatica vicina all’astrattismo.
Palinsesto della storia del fortilizio, il paramento murario del castello offre una suggestiva cornice alle opere esposte - trenta dipinti e tre sculture - tese a documentare la pluridecennale ricerca di ognuno, svolta nell’alveo della figurazione. Per ciascuno dei riministi l’espressione artistica è stata fin dalla giovinezza una costante compagna, che, nonostante l’impegno lavorativo in altri campi, li ha spinti a partecipare a mostre e concorsi nazionali, riscuotendo in più occasioni premi e riconoscimenti di pubblico.
Nella bella esposizione collettiva, grazie al sottile gioco di affinità e differenze favorito dalla visione simultanea, emergono le diverse anime del gruppo, legate a quelle di quest’area estrema di Romagna. L’anima raffinata ed arcaica si manifesta in un linguaggio che veste ora i panni di un’onirica apparizione ora quelli di una sintesi primordiale ed astratta, legata alla radice adriatica dell’arte riminese. Essa si palesa dalle solenni opere di Agostino Marchetti, le cui madri con bambino, abilmente scolpite nel legno, si distinguono per l’armoniosa sintesi delle forme quanto per il raffinato contrasto tra levigatezza e porosità delle superfici. Un simile spirito appare anche nelle pitture di Germano Ceschi, la cui trama pittorica, giocata su impercettibili variazioni di bianco e di grigio, è impreziosita da elementi in rilievo, piccoli crateri e segni stenografici evocativi di un mondo arcano e lontano, che meglio si apprezzano con una lettura lenta. Nelle pitture di Giorgio Rinaldini la sintesi genera invece delicate forme calligrafiche ed in grisaglia all’interno di un’atmosfera fiabesca, mentre nelle marine e negli interni di Aurora Pandolfini il disporsi sulla tela dei colori pastello crea luminosi mosaici tonali.
Involucri da buttare per ogni oggetto che compriamo ed allo stesso tempo vitali giacigli per i clochard, le scatole di cartone sono un tema che Enzo Maneglia tratta da decenni con il suo tratto incisivo ed elegante, quale metafora delle nostra civiltà degli sprechi e della ilare cecità con cui vengono compiuti disastri irreversibili. Fine disegnatore ed umorista, Maneglia lega la sua opera a quell’anima riminese ironica e satirica che ha visto la luce non solo nel talento grafico del regista Federico Fellini ma anche in quello di Ardo (Giulio Cumo) e Rob (Italo Roberti), animatori con gustose caricature delle pagine di numerosi giornali balneari nel periodo a cavallo tra le due guerre. Líironia delicata e i colori smaltati contrassegnano líopera di Guido Acquaviva, i cui personaggi, graziosamente monoformi, si atteggiano in pose d’altri tempi. Fra questi si distinguono le madonne col bambino, affiancate da un paffuto custode angelico che è declinazione popolare dei solenni angeli reggicortina delle pitture bizantine, cui l’artista si avvicina anche per il fondo oro del supporto ligneo.
Per Giuma, ovvero l’acquerellista Giuliano Maroncelli, la caricatura è una valida forma espressiva, che si affianca alle peculiari vedute riminesi, memorie dell’insegnamento di Luigi Pasquini, serene immagini di una città ormai mutata.
L’anima vedutista è comune a tutto il gruppo, per l’inclinazione a rappresentare sia scorci del porto di Rimini, cuore dell’identità cittadina, sia paesaggi delle vallate dell’entroterra. Questa inclinazione trae origine dalla poetica pittura del verucchiese Norberto Pazzini, che per primo, a cavallo tra Ottocento e Novecento, ha catturata en plein air la bellezza delle luci e degli scenari della Valle del Marecchia. Come il nipote Edoardo Pazzini, che dal dopoguerra ha trattato quella stesse prospettive con una materia pittorica più compendiara e moderna, le vedute di alcuni artisti riministi si caricano di una superficie ruvida e di una sintesi emozionale. A tale poetica ed espressività appartiene la pittura di Secondo Vannini, che descrive angoli suggestivi della sua Romagna con una vibrante tavolozza giocata sui toni luminosi dell’ocra, del verde e dell’azzurro, e quella di Luciano Filippi. Miscelando all’olio materiali porosi, Filippi rende pulsante la superficie pittorica, dove, con toni cinerei ed una stesura gestuale, fissa l’apparire suggestivo di una cattedrale gotica allo stesso modo della sagoma di una barca dalle vele gonfie ed arenata sulla riva. La pittura di Mario Massolo coglie invece frammenti di paesaggio dal vero, modulandoli in note cromatiche intense e sapientemente dosate: senza la mediazione del disegno preparatorio la sua pennellata riproduce la qualità della luce in un particolare momento del giorno o dell’anno, trasmettendo il fascino che ha esercitato su di lui. Le marine riminesi ed i paesaggi di Maurizio Minarini si segnalano per il tocco intimista. Le esigue forme presenti sulla tela sono apparizioni oniriche necessarie all’armonioso disporsi di linee e colori opalescenti, che nel corso del tempo hanno sostituito le fitte sagome urbane dai toni bruni e spenti delle tele d’esordio.
Lirismo e raffinatezza, arcaismo ed ironia non sono però delle rigide categorie perchè spesso convivono e si fondono in molteplici sfumature nell’opera dei diversi artisti riministi.
Michela Cesarini
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